Roma, 8 set – La sinistra italiana non ha più nulla da dire. E questa, di per sé, non è una notizia. O, meglio, è una notizia vecchia di qualche decennio.
La sinistra italiana non ha più nulla da dire sul capitalismo, a cui si
è convertita nei corpi e negli spiriti, fino a sposare per puro
etnomasochismo quel gigantesco meccanismo neo-schiavistico e
ultra-capitalista che è l’immigrazione di massa.
La sinistra
italiana non ha più nulla da dire sulla legalità, dopo che ha provato
per anni a cavalcare il partito dei magistrati e si è trovata da questo
cavalcata, oltre che messa fuori gioco da una legione di indagati e
condannati.
La sinistra italiana ha persino poco da dire sui
“diritti civili” e la moda omofila, dato che il suo pubblico naturale le
è sempre un passo avanti e lascia poco margine di manovra alle sue
timide propaggini istituzionali.
E allora cosa resta, alla
sinistra italiana? Il sarcasmo. Il posto che fu di Togliatti,
Berlinguer, Bertinotti, D’Alema e Bersani è stato occupato da Serena
Dandini.
Il sarcasmo è, ovviamente, una forma di elaborazione
della sconfitta. In una recente intervista, Lia Celi, ex autrice di
Cuore, ha ricordato che “mai come contro Berlusconi la satira era uno
strumento di resistenza umana, per citare il sottotitolo di Cuore.
Resistevi ridendo di lui, mentre lui vinceva ovunque. Ridevi della sua
statura, della sessomania, della sete di potere. Alla fine era
semplicemente auto-consolazione”.
Parafrasando Marx: la sinistra
ha prima interpretato il mondo, poi ha cercato di trasformarlo, infine è
finita a deriderlo. Ma è un riso isterico, che sa di impotenza. Proprio
per esorcizzare tale impotenza, occorre ovviamente rendere l’irrisione
sempre più pesante.
In questa dinamica decadente rientra l’ironia
della sinistra su argomenti come le foibe o i Marò. Due temi non
casuali, perché hanno a che fare con due ferite: la prima relativa al
sangue italiano versato sul confine orientale e più ancora alla sua
colpevolizzazione e rimozione. La seconda ha invece a che fare, oltre
che con la sventura di due esseri umani, con l’umiliazione della nostra
sovranità e dignità nazionale.
Eppure il fatto che una parte
degli italiani non si arrenda a veder questa nazione e la sua memoria
ridotta a brandelli suscita a sinistra grande ilarità. In particola
modo, si ironizza sull’insistenza con cui i migliori italiani cercano di
bucare il muro di gomma dell’apatia, dell’indifferenza, della
negazione. “E allora le foibe?”, “E allora i Marò?”. E giù risate.
Sono gli stessi custodi di tanti altri lutti sacri, su cui nessuno può
azzardarsi a scherzare, sono gli stessi infaticabili e seriosi
protagonisti di tante battaglie di nicchia, consumistiche e futili, su
cui ironizzare è peccato mortale. Ma i Marò e le foibe, chissà perché,
li fanno scompisciare dal ridere. Ma forse un perché c’è. Guardate il
calendario. Guardate che giorno è oggi. Oggi è il loro compleanno (e lo
rivendicano). Come al solito, tout se tient. Buon 8 settembre
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