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martedì 8 settembre 2015

8 settembre 2015

Roma, 8 set – La sinistra italiana non ha più nulla da dire. E questa, di per sé, non è una notizia. O, meglio, è una notizia vecchia di qualche decennio.
La sinistra italiana non ha più nulla da dire sul capitalismo, a cui si è convertita nei corpi e negli spiriti, fino a sposare per puro etnomasochismo quel gigantesco meccanismo neo-schiavistico e ultra-capitalista che è l’immigrazione di massa.
La sinistra italiana non ha più nulla da dire sulla legalità, dopo che ha provato per anni a cavalcare il partito dei magistrati e si è trovata da questo cavalcata, oltre che messa fuori gioco da una legione di indagati e condannati.
La sinistra italiana ha persino poco da dire sui “diritti civili” e la moda omofila, dato che il suo pubblico naturale le è sempre un passo avanti e lascia poco margine di manovra alle sue timide propaggini istituzionali.
E allora cosa resta, alla sinistra italiana? Il sarcasmo. Il posto che fu di Togliatti, Berlinguer, Bertinotti, D’Alema e Bersani è stato occupato da Serena Dandini.
Il sarcasmo è, ovviamente, una forma di elaborazione della sconfitta. In una recente intervista, Lia Celi, ex autrice di Cuore, ha ricordato che “mai come contro Berlusconi la satira era uno strumento di resistenza umana, per citare il sottotitolo di Cuore. Resistevi ridendo di lui, mentre lui vinceva ovunque. Ridevi della sua statura, della sessomania, della sete di potere. Alla fine era semplicemente auto-consolazione”.
Parafrasando Marx: la sinistra ha prima interpretato il mondo, poi ha cercato di trasformarlo, infine è finita a deriderlo. Ma è un riso isterico, che sa di impotenza. Proprio per esorcizzare tale impotenza, occorre ovviamente rendere l’irrisione sempre più pesante.
In questa dinamica decadente rientra l’ironia della sinistra su argomenti come le foibe o i Marò. Due temi non casuali, perché hanno a che fare con due ferite: la prima relativa al sangue italiano versato sul confine orientale e più ancora alla sua colpevolizzazione e rimozione. La seconda ha invece a che fare, oltre che con la sventura di due esseri umani, con l’umiliazione della nostra sovranità e dignità nazionale.
Eppure il fatto che una parte degli italiani non si arrenda a veder questa nazione e la sua memoria ridotta a brandelli suscita a sinistra grande ilarità. In particola modo, si ironizza sull’insistenza con cui i migliori italiani cercano di bucare il muro di gomma dell’apatia, dell’indifferenza, della negazione. “E allora le foibe?”, “E allora i Marò?”. E giù risate.
Sono gli stessi custodi di tanti altri lutti sacri, su cui nessuno può azzardarsi a scherzare, sono gli stessi infaticabili e seriosi protagonisti di tante battaglie di nicchia, consumistiche e futili, su cui ironizzare è peccato mortale. Ma i Marò e le foibe, chissà perché, li fanno scompisciare dal ridere. Ma forse un perché c’è. Guardate il calendario. Guardate che giorno è oggi. Oggi è il loro compleanno (e lo rivendicano). Come al solito, tout se tient. Buon 8 settembre

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